giovedì 9 dicembre 2010

Foglio a quadretti

Vania non si era persa, ma semplicemente nascosta nel negozietto di vestiti lì accanto, chiedendo alla proprietaria, una bellissima donna dalla lunga veste color porpora, di non rivelare a nessuno la sua presenza. La donna le fu subito complice, pur non conoscendo le ragioni di tale richiesta e la fece accomodare nel retrobottega, tra telai e anziane signore al lavoro. Si sedette su un piccolo sgabello di legno scuro e rilesse con più attenzione il foglietto che teneva stretto tra le mani da quando era uscita da quel sudicio bagno. Era un foglio di quaderno a quadretti grandi, di quelli che si usano in seconda o  terza elementare. Vania li conosceva bene. Probabilmente era stato strappato dal quaderno di matematica. La scrittura era precisa, leggermente obliqua. Calligrafia perfetta. Verso la fine, però, si poteva notare uno strano incespicare delle lettere... una sorta di tremore...Vania conosceva anche quel tremore. Era paura. Paura controllata, certamente, ma pur sempre paura.
Amore mio...
Così iniziava quella lettera....
Lui l'aveva persa dalle tasche poco prima di scendere dall'autobus, mentre cercava di sfilare la sua valigia dal portapacchi. Lei l'aveva raccolta, pensando fosse una lista per il viaggio, ma quando vide i quadretti e quella scrittura affilata qualcosa in lei scattò e le impedì di restituirla.
L'aveva letta tutta d'un fiato, appoggiata al muro di quel bagno, poi era uscita, aveva preso tra le braccia Bartolomeo e aveva deciso di scappare. Quelle parole l'avevano colpita, ma più ancora delle parole era la loro forma che la sconvolgeva. Ci leggeva dentro un mondo di sofferenza e paura e compostezza. Ci scorgeva il profilo di una donna affaticata dalla vita di coppia, dalla responsabilità di essere madre e anche moglie, oltre che compagna e amica.
Lei gli stava chiedendo di non andarsene. Lo chiedeva con misurato orgoglio, senza sbavature o scatti improvvisi.
Non te ne andare.
Questo lei scriveva. Senza pregare o implorare. Senza porre i figli come scudo al proprio dolore. Semplicemente gli diceva non te ne andare.
Lui, invece, se n'era andato.
Non per sempre. Magari solo per pochi giorni. Ma quel non te ne andare non ammetteva repliche, nè sconti di pena. Era una richiesta precisa, lecita, implicitamente sensata e senza deroghe.
Vania si sentì responsabile di un delitto atroce. Lei, con la sua leggerezza e la sua voglia di stupire, aveva contribuito a rendere incerto quella calligrafia che da sempre, lei ne era certa, viaggiava serena e tranquilla sul filo dei quadretti di un foglio di quaderno.
Ora avrebbe voluto rimediare. Ma come?

Nessun commento:

Posta un commento