domenica 26 dicembre 2010

Moonlight

Safran, aveva ancora la testa confusa da tutti quei discorsi strani sul matrimonio e stava già per uscire dal negozio quando sentì di nuovo la signora che lo chiamava con un sussurro.
Tornò  indietro e vide che si chinava a prendere un oggetto che aveva sotto il bancone e glielo porse.
Era una piccolo vasetto di vetro contenente una strana crema gialloniola. "E questo cos'è?". La donna rispose: "Moonlight". " Ma... si mangia?".
La donna, che evidentemente non aveva capito la sua domanda, gli sorrise dolcemente e ripetè "Moonlight" e lo invitò ad andarsene. E così fece, dopo essersi messo in tasca quella misteriosa sostanza e averla ringraziata.
Vania nel frattempo aveva già quasi raggiunto Oba. Safran faceva fatica a riconoscerla ormai in quella folla.L'unica cosa che la distingueva da una qualunque altra donna locale era quella macchia  bianco latte, la sua schiena lasciata ampiamente scoperta dal nuovo vestito.
Safran stava già pensando a tutte le scuse da chiedere ad Oba per il ritardo che gli stavano facendo fare, e si immaginava di trovare un uomo fuori di se. Invece era li che stava allegramente giocando a back gammon con un anziano fuori da un locale. Quando li vide arrivare li accolse con un sorriso. " Avete fatto compere eh?".
" Si, scusaci per il ritardo" accennò Safran.
" Ritardo? non ci sono ritardi quando non c'è l'orologio, e io non lo porto mai. Il tempo è fatto per essere vissuto, e io mi stavo divertendo a giocare con quest'uomo"
Safran capì al volo il messaggio.
Ripartirono con il pulmino e in meno di un'ora arrivarono nel villaggio di Minha.
La sorella di Oba fece molta festa al fratello e così pure tutti i suoi figli, che corsero incontro al pulmino dello zio come fosse arrivato il venditore di gelati.
Oba infatti aveva comprato un po' di caramelle per tutti loro, che distribuì come una specie di babbo natale.
Poi i bambini si interessarono a noi, i maschi soprattutto a Bartolo; lo presero in braccio e incominciarono a giocarci insieme, mentre le femminuccie ammiravano il vestito e i monili di Vania, come fosse una vera sposa e Vania era ovviamente tutta orgogliosa di tanta ammirazione.
Safran intanto era andato a parlare con il marito di Minha, Kumi,  per cercare di trovare un accordo per la sistemazione e verificare l'alloggio.
La casa non era grandissima ma molto accogliente. Aveva un ampio soggiorno e diverse stanze, non grandissime, in cui alloggiavano in qualche modo i diversi figli.  Avevano poi una piccola capanna, poco distante dalla loro casa che usavano come magazzino. Kumi disse che avrebbero potuto liberarla e procurare in breve tempo un letto. Kumi faceva di lavoro il commerciante, ed era la sua passione vendere e comprare oggetti. Disse che sapeva già dove andare a recuperare la roba e non ci sarebbero stati problemi. Per il bagno avrebbero potuto utilizzare quello del cortile della casa, mentre per la luce avrebbero dovuto accontentarsi della lampada a gas.
La casa era proprio a ridosso della spiaggia e si intravedeva il mare dietro le palme che chiudevano il cortile antistante all'abitazione. Safran tornò da Vania che era seduta al centro di un gruppetto di fanciulle e cercava di raccontare loro qualche storia. Stava per chiederle se le garbava il posto e se divevano confermare, ma quando incrociò il suo sguardo capì che qualunque domanda era inutile.
Le bambine poi la trascinarono sulla spiaggia e iniziarono a pettinarla e a farle delle sottilissime treccine.
Safran torno' alla capanna e mentre Kumi partiva con il suo furgoncino, stile ape piaggio, alla ricerca del letto, lui e Oba si diedero da fare per sgomberare la stanza da tutte le chincaglierie che la occupavano.
Dopo due ore la camera era quasi pronta. Kumi recuperò un fantastico letto e una sontuosa zanziera che appese al centro della stanza. Era ormai calato il sole ed erano tutti abbastanza stanchi.
Oba si congedo' da loro promettendo che sarebbe tornato l'indomani per ogni necessità.
Minha li invitò a cenare da loro ma, dopo essersi scusati, dissero erano entrambi troppo stanchi per mangiare, e avrebbero preferito una bella dormita ristoratrice. Vania, nella capanna,  si lascio' letteralmente cadere sul letto e solo allora percepi' un forte bruciore alla schiena che le fece lanciare un urlo. Era tutta scottata. La ex schiena bianca, scoperta, lasciata per ore sotto il sole sulla spiaggia era, adesso, tutta arrossata. Si coricò sulla pancia e cominciò a gemere sommessamente.
Safran non sapeva cosa fare. Non aveva farmaci a disposizione e di trovare una farmacia in quel momento non se ne parlava nemmeno. Si avvicinò alla schiena nuda di Vania e soffiò dolcemente per tentare di alleviare il dolore. In quel momento nel buio della capanna entro' dalla finestra un raggio di luna che illuminò tutta  la schiena di Vania. Moonlight... penso' Safran.
Fu allora che gli venne in mente l'unguento che gli aveva dato la donna del negozio e capi' finalmente cosa volesse dire.
La donna aveva intuito che Vania con quella schiena lattiginosa scoperta si sarebbe scottata e solo alla luce della luna se ne sarebbe accorta. Safran allora prese il vasetto,  lo aprì  e un'intensa fragranza balsamica riempì la stanza. Lui  iniziò a masaggiarle delicatamente la schiena, tanto che Vania si rilasso' immediatamente e si addormentò.
Safran guardava quella pelle illuminata dalla luna, in quella capanna Africana... lui e lei soli.
Le sue mani scivolavano delicatamente ma cercava di stare lontano da zone che avrebbero potuto imbarazzarlo e... sospiro'. " Un bacio e' sempre un bacio" pensò ...si ... ma... nulla lo autorizzava ad andare oltre.
In quel silenzio rotto solo dal rumore del mare e da qualche verso di animale sconosciuto in lontananza,  Safran accompagnò il suo dolce movimento con una vecchia canzone quasi sussurrandola..." You must remember this..."

sabato 18 dicembre 2010

Mema ya ndoa

"Ok, ci sto!" disse Vania spalancando uno dei suoi sorrisi improvvisi, e corse verso il negozio nel quale si era nascosta. Andò dritta dritta dalla donna che l'aveva aiutata e le mostrò il vestito che desiderava indossare. Era una doppio telo decorato con colori rossi e neri. "E' un kanga!" disse Vania a Safran- "e sai cosa significa in swahili? Significa gallina faraona! Bello no?" Safran annuì, poi la invitò a spogliarsi, come da scommessa. Vania prese il telo colorato, se lo avvolse intorno, poi si sfilò pantaloni e canotta... l'unica cosa che mantenne furono i suoi meravigliosi sandali bianchi. Safran la guardò divertito. "Sì, ma manca qualcosa... - disse, e prese da un grosso cesto di vimini un foulard arancione e lo avvolse sulla testa di Vania. "Ora sì che sei una vera faraona!" Vania si guardò nello specchio e non poteva crederci. Non si era mai vista così bella. Quel telo colorato le scivolava addosso come una seconda pelle e si sentiva fresca e pulita, nonostante le lunghe ore di viaggio.
Bartolomeo la guardava quasi non riconoscendola.
Safran si avvicinò alla donna per pagarla, ma lei fece no con la testa, poi mostrò i suoi enormi denti bianchi e disse: "Mema ya ndoa", abbracciò Vania e le mise al collo un numero infinito di collane colorate.
Vania restò senza parole, poi disse: "Asante sana" e uscì dal negozio con Safran che la guardava sbalordita. "Ma da quando conosci lo swahili Vania?" chiese lui prendendo Bartolo in braccio. "Mi sono imparata giusto qualche parola, tipo grazie oppure c'è un bagno?" rispose Vania mentre si sistemava le collane e rovistava nella sua enorme borsa alla ricerca di qualcosa.

"Eccolo, finalmente!" disse Vania sfogliando un minuscolo vocabolario. "Dunque... mema...ya...ndoa... vuol dire... vuol dire... " Ad un tratto alzò la testa verso Safran e scoppiò in una fragorosa risata! "Che c'è, che vuol dire? Dai Vania, dimmelo!" Vania gli prese la mano, lo guardo fisso negli occhi poi gli sussurrò all'orecchio "Significa Buon matrimonio". Safran la guardò con aria contrariata, poi gli tornò alla mente le immagini di un documentario che aveva visto qualche mese prima, che mostrava i matrimoni tra kenioti e si ricordò che tutte le donne indossavano quella veste di colore rosso e nero e al collo portavano centinaia di collane. Raccontò a Vania il significato di quel vestito e lei dapprima storse la bocca, poi però sorridendo disse: "se questo è tutto  un sogno, allora lo sarà fino in fondo. Ho sempre sognato un matrimonio esotico!"

martedì 14 dicembre 2010

La Mancia

Safran guardava davanti a se' senza vedere nulla.
Il sole era ormai allo zenit e capi' che presto si sarebbe sciolto sotto tutto quel calore.
I suoi vestiti erano ormai fradici di sudore, la sua camicia a quadretti da ufficio milanese, i suoi pantaloni di flanella nero carbone, le sue scarpe di pelle scamosciata.
Ma perche'? Perche' si sentiva sempre inadeguato in ogni situazione? Perche non poteva essere essere come quegli esseri che gli stavano passando davanti? Spensierati, senza preoccupazioni, vivevano ad un ritmo lento, umano. Lui invece era chiaramente un ricco turista europeo in cerca di emozioni esotiche... senza fantasia e pieno di ripensamenti... il suo atteggiamento e i suoi vestiti non lasciavano dubbi... e per di piu' non aveva la piu pallida idea di dove fosse Vania.
Un rapimento?...impossibile... l'aveva lasciata solo per pochi minuti e poi per che motivo?
Forse Bartolo le era sfuggito di mano, da come era agitato e lo ha inseguito, ma a quest'ora doveva essere gia arrivata.
Non rimaneva che la fuga, un allontanamento volontario... ma perche'? Si era forse pentita di quel viaggio?
Questo sospetto non fece che accrescere le sue perplessita' circa l'essere inadatto a quella situazione.
Forse stava sbagliando tutto... e doveva rientrare nei ranghi della normalita', tornarsene a casa e sperare di riprendere la sua tranquilla vita di provincia in famiglia. Quello era il suo mondo e non poteva trasformarsi in un indiana jones da un momento all'altro... chi stava prendendo in giro?
O forse no. Forse doveva solo crederci fino in fondo. Crederci ancora, agire, prendere in mano la situazione.
Si, ecco! Agire. Entro' in un bazar di vestiti che c'era li accanto. Prese una maglietta a maniche corte, arancione a righe blu orizzontali, un paio di calzoncini azzurro chiaro e per finire un bel paio di sandali di cuoio  che gli ricordavano tanto, nella forma, quelli di plastica rossa che indossava quando andava sulla spiaggia di Loano, da piccolino.
Diede 10 dollari alla commessa e improvvisando  uno spogliarello nel negozio, si cambio' i vestiti, scatenando i sorrisini imbarazzati delle donne del negozio. Lui contraccambio' il sorriso, regalo' i suoi vestiti vecchi alle ragazze e usci' contento sulla piazza e ando' a risedersi sulla tanica blu ad aspettare.

Si sentiva gia' meglio,  in perfetta armonia con quel posto speciale di cui non conosceva nemmeno il nome. Provo' una specie di sensazione di benessere come se tutte le persone che vedeva fossero' li per partecipare alla sua avventura e lui era il protagonista principale. E forse era veramente cosi'.

Guardo' i suoi piedi e li riconobbe finalmente, adesso la terra che li sporcava non era fuori posto, aveva la sua ragione per essere li.
Poi un gatto siamese a lui famigliare entro' nel suo panorama visivo e inizio' a leccarli. Alzo' lentamente lo sguardo e Vania era li, in piedi davanti a lui.
Non si dissero nulla, lei gli porse il  foglietto che aveva in mano e che lui riconobbe immediatamente e capi'.

"Vania, hai mai sentito parlare di Don Chisciotte de la Mancia? Immagino di si....era un personaggio strano, che a causa della sua grande passione per la letteratura cavalleresca gli prese il delirio di essere un cavaliere lui stesso, senza macchia e senza paura. Avrebbe dovuto dedicare la sua vita per salvare l'onore della sua amata principessa, Dulcinea del Toboso e come  premio per le sue gesta avrebbe avuto la corona di Imperatore di Trebisonda"
"Ma  la cavalleria ai suoi tempi era gia scomparsa,  Dulcinea non era un principessa ma una donna di facili costumi, il suo cavallo non era che un ronzino e il suo  scudiero un flaccido contadinotto. Tutto quello che lui viveva  non esisteva nella realta' ma solo nella sua fantasia, vedeva giganti contro cui combattere ma erano mulini a vento. Era un pazzo e tutti lo prendevano in giro"
" Nonostante questo, lui viveva contento e con grande impegno questa sua avventura, aveva una vita interessante, la sua pazzia gli faceva vedere le cose con un punto di vista originale, creativo, mai banale."
"Ecco, ho pensato che anche questa nostra avventura e' una sorta di sogno, di pazzia, che prende spunto, si, dalla realta' ma se ne distacca per avere una sua vita propria, la sua originalita'. In cui tutto può accadere, perche nei sogni e' cosi'. Tutto quello che succedera' qui non avra' nessun effetto sulla realtà se non una lontana eco, perché sara' solo nella nostra fantasia, e nessuno puo' impedire alla fantasia di volare. E questo volo e' una cosa che ci fa stare solo bene, se ci lasciamo andare senza paura di volare"
" Questo foglietto e' un intruso in questo mondo, un incidente di percorso, ci sono delle falle nella fantasia che lasciano passare squarci di realta', che dobbiamo saper gestire, senza drammi, sapendo che i pericoli qui dentro non ci sono. Anche le ferite di Don Chisciotte quando si scontro' con i mulini gli facevano male veramente ma lui non si arrese e persegui con tenacia il suo scopo. Dobbiamo decidere se voler volare almeno nella fantasia, o continuare a mangiare polvere in coda sulla tangenziale"
Guarda.
Safran si alzo', si avvicino' a Vania, le prese la testa tra le mani e la bacio' sulle labbra.
Il tempo sembro' fermarsi per qualche secondo. La folla della piazza scomparve, c'erano invece koala e pinguini che ballavano una specie di danza tribale attorno a loro, abbracciati gli uni agli altri in perfetta armonia.
....
Riaprirono gli occhi. La confusione della folla riemerse piano piano.
Vania stava per dire qualcosa ma Safran le mise una mano sulla bocca.
" nulla, non dire nulla, piuttosto guardati come sei vestita! Mi sembri una maestrina di una scuola per ricchi rampolli milanesi.
Tu invece dovresti essere la Regina di Saba, in questa storia. Facciamo cosi'... ti regalo qualunque vestito che trovi in quel bazar a patto pero'che... te lo indossi direttamente nel negozio. Ci stai?"

giovedì 9 dicembre 2010

Foglio a quadretti

Vania non si era persa, ma semplicemente nascosta nel negozietto di vestiti lì accanto, chiedendo alla proprietaria, una bellissima donna dalla lunga veste color porpora, di non rivelare a nessuno la sua presenza. La donna le fu subito complice, pur non conoscendo le ragioni di tale richiesta e la fece accomodare nel retrobottega, tra telai e anziane signore al lavoro. Si sedette su un piccolo sgabello di legno scuro e rilesse con più attenzione il foglietto che teneva stretto tra le mani da quando era uscita da quel sudicio bagno. Era un foglio di quaderno a quadretti grandi, di quelli che si usano in seconda o  terza elementare. Vania li conosceva bene. Probabilmente era stato strappato dal quaderno di matematica. La scrittura era precisa, leggermente obliqua. Calligrafia perfetta. Verso la fine, però, si poteva notare uno strano incespicare delle lettere... una sorta di tremore...Vania conosceva anche quel tremore. Era paura. Paura controllata, certamente, ma pur sempre paura.
Amore mio...
Così iniziava quella lettera....
Lui l'aveva persa dalle tasche poco prima di scendere dall'autobus, mentre cercava di sfilare la sua valigia dal portapacchi. Lei l'aveva raccolta, pensando fosse una lista per il viaggio, ma quando vide i quadretti e quella scrittura affilata qualcosa in lei scattò e le impedì di restituirla.
L'aveva letta tutta d'un fiato, appoggiata al muro di quel bagno, poi era uscita, aveva preso tra le braccia Bartolomeo e aveva deciso di scappare. Quelle parole l'avevano colpita, ma più ancora delle parole era la loro forma che la sconvolgeva. Ci leggeva dentro un mondo di sofferenza e paura e compostezza. Ci scorgeva il profilo di una donna affaticata dalla vita di coppia, dalla responsabilità di essere madre e anche moglie, oltre che compagna e amica.
Lei gli stava chiedendo di non andarsene. Lo chiedeva con misurato orgoglio, senza sbavature o scatti improvvisi.
Non te ne andare.
Questo lei scriveva. Senza pregare o implorare. Senza porre i figli come scudo al proprio dolore. Semplicemente gli diceva non te ne andare.
Lui, invece, se n'era andato.
Non per sempre. Magari solo per pochi giorni. Ma quel non te ne andare non ammetteva repliche, nè sconti di pena. Era una richiesta precisa, lecita, implicitamente sensata e senza deroghe.
Vania si sentì responsabile di un delitto atroce. Lei, con la sua leggerezza e la sua voglia di stupire, aveva contribuito a rendere incerto quella calligrafia che da sempre, lei ne era certa, viaggiava serena e tranquilla sul filo dei quadretti di un foglio di quaderno.
Ora avrebbe voluto rimediare. Ma come?

Pepe

Era passata gia' un'ora su quel pulmino carta da zucchero.
Il rumore e le vibrazioni stavano mettendo a dura prova la resistenza di Vania.
Safran si giro' ad un certo punto verso di lei che gli fece una smorfia di dolore.
Capi' che era giunto il momento per fare una sosta: " Oba, scusa. Non e' che ci potremmo fermare un po'. Magari in qualche posto dove si possa anche andare in bagno?".
"Ok, al prossimo villaggio ci fermiamo, devo anche fare gazolina"
Passarono ancora dieci lunghi minuti  di sofferenza e finalmente si videro le prime case. Non era un villaggio piccolissimo come si aspettavano. Anzi era una piccola citta', c'erano anche diversi negozi. Oba guido' con una certa destrezza nei cunicoli di quel labirinto e giunsero finalmente in un piazza abbastanza grande.
Pululava di gente che si spostava portando con se ogni tipo di merce, frutti tropicali, lattine di olio combustibile, vecchi copertoni. Sembrava che il loro unico scopo fosse quello di spostare merce da un punto ad un altro, senza un preciso perche'. Anche il rumore di quel posto era abbastanza caratteristico, voci che si levavano da ogni parte, a a cercare di vincere la confusione dei motorini rombanti, che producevano un baccano inversamente proporzionale alla velocita' a cui potevano andare.
Oba ci indico' un posto in cui si poteva trovare un bagno abbastanza accessibile.
Era nel retrobottega di un emporio che vendeve spezie e gioielli.
Vania corse vreso la porta che conduceva nel retro del negozio, la apri' ed ebbe un momento di esitazione, guardo' Safran con un'espressione che significava " ma dove cavolo mi hai portata?". Lui la ricambio' con un alzata di spalle e allargando le mani in un gesto di rassegnazione. L'esigenza fisiologica alla fine ebbe la meglio su Vania che scomparve dietro la porta.
 Safran aspetto' nel negozio con Bartolo in braccio che, curioso come un gatto,  voleva annusare ogni cosa . Avvicino' il musetto ad una polvere scura molto profumata. La curiosita' pero' a volte si paga cara, infatti appena impolvero' il suo nasino  prese a starnutire come un pazzo. Era pepe.
Dopo qualche minuto Vania usci' dal retrobottega con un misto di schifo e liberazione disegnata sul volto.
Safran le restitui' un Bartolo agitato nelle braccia e ando' anche lui in esplorazione delle segrete dell'emporio.
Usci' dopo un minuto e Vania e Bartolo non c'erano piu'. Usci' dal negozio ma nenache li' li vide. Torno' al pulmino di Oba ma niente, lui non li aveva visti.
Prese il suo telefonino per chiamarla ma scopri'che non c'era alcun segnale disponibile.
Cerco' di non farsi prendere dal panico.
Corse di nuovo a quel negozio e provo ad entrare nelle botteghe accanto a chiedere in inglese se avessero visto una donna con un gatto in braccio " I'm looking for a  woman with  a cat .... miaoooo"  e tentava di imitare il verso del gatto .... ne riceveva, nel migliore dei casi, solo sguardi persi nel vuoto,  altri invece sorridevano come se avessero capito che era arrivato un comico in citta' e si faceva pubblicita' in qualche modo.
Safran iniziava ad essere preso dallo sconforto.
Usci sulla piazza ed inizio' a gridare: VANIAAAA... .VAAAANIAAA

Ma si accorse subito di non avere una voce cosi' potente da competere con il casino locale.
Si appoggio' sfinito, su una tanica blu al bordo della strada.
Guardo' la terra marrone sulle sue scarpe. Era nel centro dell' Africa in una citta' di cui non sapeva neanche il nome. Solo.
Vania era scomparsa.

martedì 23 novembre 2010

Mihna Village

Safran guardava fuori dal finestrino. Finalmente aveva tempo di rendersi conto di dove fosse finito.
Il Sole era appena sorto. Era tutto un po' nuovo. Non si capacitava ancora di essere nel cuore dell'Africa.  Il cielo aveva una luce strana, profonda. La terra…  quanta terra.... sembrava viva. Il Sole che si muoveva nella direzione opposta... da destra a sinistra…si rese conto solo adesso che era la prima volta che oltrepassava l'equatore.
Il guidatore del pulmino lo osservò, poi disse: " Prima volta in Africa?".
" Si..." rispose ancora soprapensiero Safran, poi, riprendendosi "Ma… lei parla italiano?"
"Un poco, il mio nome e' Oba... Piacere"
" Piacere, Safran" tese la sua mano smorta a stringere quella ossuta, color nero carbone, di Oba.
" Bel nome Safran, cosa significa?"
" E’ il nome una spezia che si usa per cucinare, arancione intenso"
"Conosco, conosco... usiamo anche noi qui... la chiamiamo Zafarani"
" E il tuo? Che cosa vuol dire?"
" E il nome di un’antica tribù da cui viene la mia famiglia”.
"Come hai imparato l'Italiano? lo parli bene" intervenne Vania che aveva smesso di giocare con il micio.
" Ho lavorato per anni in un villaggio frequentato solo da Italiani, qui a Malindi" rispose Oba, " ce ne sono tanti. Solo che poi mi hanno cacciato".
" E perché? " chiese lei con un misto di curiosità e preoccupazione.
" E' una storia complicata... mi hanno preso con un pezzo di pane nella tasca mentre uscivo dal villaggio...mio fratellino stava male... aveva bisogno di energia... e così ho rischiato. Lo so avevo infranto le regole...ma era un pezzo di pane avanzato... l'avrebbero buttato via".
Lo sguardo di Vania si velò di tristezza. Era' molto sensibile, sopratutto quando si parlava di bambini.
" Anche voi siete in un villaggio?" chiese Oba.
Vania si rivolse a Safran e si rese conto solo allora che non aveva la più pallida idea di dove si stesse andando per dormire.
"Si, non ricordo bene il nome... devo averlo stampato da qualche parte" . Safran frugò nello zaino e tirò fuori una cartelletta con dei fogli che porse a Vania che lesse ad alta voce" Voyager Beach Resort.".
"L'ho trovato per caso ieri in internet, il primo della lista che aveva posti liberi... ho fatto tutto di fretta" si stava già scusando Safran.
"Lo conosco appena.. e' un villaggio nuovo, gestito da olandesi, mi sembra" disse Oba.
Intanto, stavamo passando accanto ad un lungo muro di cinta, al cui lato c'era una fila di uomini, ma forse  anche bambini, in attesa, e al termine vicino ad un cancello due bestioni in uniforme, armati con fucili, che facevano dei controlli.
" E quelli cosa fanno?"chiese Vania accarezzando il pelo di Bortolo per farlo stare tranquillo. Le buche della strada lo facevano spaventare sempre... e ce n'erano tante.
"Aspettano di essere chiamati per un lavoro. Nei villaggi funziona così. Ogni giorno assumono gente nuova... per le pulizie. Lavorano soprattutto di notte. Li chiamiamo gli invisibili, perché il loro compito principale e’ quello di non farsi vedere dagli ospiti. Se, per caso, uno si avvicina, loro devo nascondersi in fretta e non farsi notare. A volte passano apposta le guardie a fare controlli e se ne beccano uno lo sbattono fuori. Però se vedono invece che sei bravo riesci anche a diventare cameriere. Io ce l'avevo fatta ma poi..."
Vania guardò Safran con un'espressione che non lasciava molto spazio alle discussioni.
Safran gli disse sottovoce ' Ho capito... ma.... sei sicura che potrai sopportare alcuni disagi?... non so se ci basterà l'eucalipto..."
Vania prese la mano di Safran " si... ce la posso fare". Safran annuì con un lieve cenno del capo e poi disse " Oba, ma tu non conosci un posto a Mombasa, dove poter andare a dormire... che non sia un villaggio?"
Oba ci pensò un poco poi disse esitante" Beh, un posto ci sarebbe... ma non so se può andarvi bene... voi siete... ricchi ed eleganti... Mia sorella MHINA ha una casetta in riva al mare, non molto distante dal vostro villaggio, ci vive con la sua famiglia... ma un paio di posti si trovano sempre... dove si dorme in sei, si può dormire anche in otto no?"
"Già" disse Safran, poco convinto, ma poi, incrociando lo sguardo di Vania" Dai portaci da Mihna!"



venerdì 19 novembre 2010

Il viaggio proseguì tra sonnellini, spuntini e film. Vania si godeva ogni cosa come fosse al parco giochi. Safran, invece, iniziava a sentire l'urgenza di scendere e iniziare, finalmente, questo viaggio che lo stava portando così lontano, non solo dall'Italia, ma anche dalla sua vita.
Dopo otto ore di viaggio, finalmente l'aereo atterrò a Malindi. Da lì avrebbero preso un autobus che li avrebbe portati a Mombasa. Appena scesi dall'aereo ad accoglierli fu il caldo tropicale dell'Africa. Vania si tolse immediatamente la felpa che l'aveva scaldata durante il viaggio, e restò con una canottiera rossa. Poi si legò la sciarpina colorata in testa, tolse le All Star e indossò le sue Birkenstock di vernice bianca.
Safran la osservava divertito: "Caspita, che organizzazione! - le disse - Come vorrei avere anch'io ai piedi i miei amati sandali!" Lei scosse la testa e bofonchiò qualcosa del tipo "Meno male che te li sei scordati", ma Safran fece finta di non aver sentito.
Attesero i bagagli, poi si diressero verso l'uscita. Safran, intanto, aveva raccolto informazioni confuse sul luogo in cui avrebbero dovuto prendere il bus.
Con aria decisa, condusse Vania e Bartolomeo lungo una strada poco distante dall'aereoporto, dove un cartello malconcio indicava la fermata degli autobus per Mombasa. Vania maledì immediatamente la sua valigia così pesante e avrebbe voluto fare cambio con quella di Safran, ma l'orgoglio le impedì di chiedere aiuto. "Vuoi una mano con quella valigia? - le disse Safran ridendo. Lei non rispose e camminò velocemente verso il luogo indicatole, sbattendo il povero Bartolo di qua e di là nella sua gabbietta.
Dopo 15 minuti l'autobus ancora non era arrivato. Vania smise di parlare. Faceva sempre così quando si innervosiva, ma lui ancora non lo sapeva. Dopo 30 minuti, oltre a non parlare, iniziò a sbuffare nervosamente, ma lui fece finta di non sentirla e continuò a giocherellare con la coda di Bartolo. Dopo 45 minuti, quando ormai Vania stava per scoppiare, finalmente arrivò un autubus. Più che un autobus, sembrava un pullmino degli anni 70. A Vania ricordò la 131 di suo nonno, non tanto per la forma, quanto per il colore, carta da zucchero. Non appena salirono, li investì un acre odore di umanità. Vania cercò di non dare a vedere il suo disagio, ma glielo si leggeva negli occhi. Safran, allora, prese dal suo zainetto un barattolino. Lo aprì e ci passò dentro un dito, che poi passò delicatamente sotto il naso di Vania. All'improvviso il cattivo odore era sparito, per lasciare il posto a un piacevolissimo profumo di eucalipto.
"Ti senti un po' più a casa, ora, koala? - disse lui sorridendo. Vania chiuse gli occhi e annusò profondamente quel buonissimo aroma, poi si voltò verso di lui e gli stampò un bacio sulla guancia. "Ma da quando al polo Sud ci sono gli alberi di eucalipto? - chiese lei.
"E' una lunga storia... " - rispose lui, accarezzandosi la guancia profumata

mercoledì 10 novembre 2010

sogno sospeso per aria

Safran fermo' improvvisamente la sua corsa, tanto che Vania non fece in tempo a rallentare e ando' a stampare il suo naso pannuto nella schena di lui.
"Ascolta!" disse alzando l'indice" Stanno chiamando il nostro volo. Dobbiamo sbirgarci"
Corsero a prendere le loro cose abbandonate al tavolino e si precipitarono verso il gate: destinazione Malindi.
E' straordinario come nella completa confusione dei grandi aeroporti si riescano a distillare piano piano le diverse nazionalita' del mondo quando ci si avvicina ai rispettivi gates di partenza. Ed ecco lo spettacolo che si stava materializzando davanti ai loro occhi man mano che andavano verso la meta. Olanda to Kenya. Colori. Profumi. Lingue. Movimenti. L'Africa stava impercettibilmente prendendo vita passo dopo passo.
C'erano famiglie, alti uomini di colore vestiti con lunghe tuniche dai caldi colori della terra. Vecchie signore ingioiellate con i capelli avvolti in foulard multitono. Bambini che correvano con pochi vestiti addosso. Snelli  signori biondi dallo sguardo serio e un po' incazzato. Che mancava solo un bel cappello bianco per trasformarli definitivamente nell'"uomo del monte". vecchie reminiscenze colonialiste dure a morire.
Presero posto nella fila centrale del Boeing 747, decisamente piu spaziosa del volo precedente. Le assistenti di bordo passarono a distribuire le cuffie, a chiedere cosa avrebbero desiderato per pasto e a lasciare una calda salvietta inumidita per potersi lavare la faccia e le mani. Fa sempre piacere essere coccolati.
Questo servizio mise di buon umore Vania che sorrideva come una bambina nel mondo dei balocchi. Sembrava che la paura del volo la stesse finalmente abbandonando.
Presero la lista dei film trasmessi a bordo e Safran scopri' con piacere  che c'era anche  " INCEPTION", l'ultimo film di Leonardo di Caprio.
"No, non so se mi va di giardarlo!" disse lei,  " Ho paura che sia troppo complicato".
" Ma va. Dai, io l'ho gia visto ma lo rivedo volentieri, e se c'e' qualcosa che non capisci magari ti posso aiutare, Ti assicuro che merita. Fidati".
" Ok. Ma devi spiegarmi tutto eh?"
"Non ti preoccupare" rispose Safran, finalmente felice che lei si fidasse un po'.
Dopo pochi minuti dall'inizio del film Vania si giro' verso di lui con il viso pieno di stupore.... " Ma... questo film e' girato a... Mombasa!!!"
" Lo so" sorrise compiaciuto Safran, " Ti ho detto che l'ho gia' visto".
"Ma non me l'avevi detto..."
" Credo che noi si stia andando li anche grazie a questo film. Qui si parla di sogni, e di realta' che vorrebbe essere sogno e viceversa. Esattamente come questo nostro viaggio, in cui la realta' entra nel sogno. E il sogno diventa reale. Credo che forse noi potevamo andare solo a Mombasa, la dove il sogno e la realta coincidono".
A Safran, ad un certo punto, parve che il film stesse stranamente cambiando trama. Adesso c'erano leoni che pascolavano davanti a lui, che era seduto sul ramo possente di un Baobab. Attorno la sconfinata savana africana. Poco lontano due giraffe si attardavano a brucare un po' di foglie. Lui sentiva la paura addosso. I leoni a quella distanza potevano essere pericolosi.
Si mise ad urlare ma non se ne andavano. Una leonessa inizio' l'avvicinamento verso l'albero e tento' di salire  ma falli' il suo primo tentativo.
Da lontano allora arrivarono dei pinguini reali che attirarono l'attenzione dei felini. Portavano in grembo i loro piccoli e cercavano di difenderli dalle belve. Erano impauriti pure loro . Ma ecco che proprio quando le fiere stavano per sferrare l'attacco si udi' una musica da avanspettacolo ed entrarono in scena un gruppo di koala argentati che ballavano il can-can, tutti in fila.
I leoni scomparvero. Un Koala nel frattempo si era arrampicato al suo ramo e stava per avvicinarsi a lui, con la calma che lo contraddistingueva. Safran era immobile, incredulo. Il koala mosse lentamente le sue zampe fino ad abbracciarlo dolcemente, ed arrivo' ad un passo dal suo viso. Apri' la bocca e una piccola lingua rugosa gli lecco' le guance.
Safran senti' un solletico sulla pelle, un senso di umido e una bassa vibrazione sonora vicino alle sue orecchie.
Apri' gli occhi, era bartolo che gli si era arrampicato fin sul viso e lo stava leccando tutto.
"Ehi cheffai?" lo prese e lo appoggio con delicatezza sul sedile.
Vania si giro' e lo guardo' festosa "ah, ti sei svegliato finalmente! Menomale che dovevi spiegarmi il film". Poi si giro' dall'altra parte e continuo' la sua discussione con un anziana signora Keniota che era seduta accanto a lei.
Parlavano molto a gesti, usando uno strano linguaggio miscelato tra l'inglese e il francese. Si intendevano magnificamente, pero', ed era uno spasso osservarle.
La signora aveva notato il gatto e aveva iniziato a parlare dei suoi mici. Vania allora ne aveva approfittato per trasmettergli tutte le sue preoccupazioni sull'educazione del felino.
Ad un certo momento Safran vide che Vania inizio' a muovere il torso avanti e indietro con gesti sussultori, mettendosi una mano davanti alla  bocca - Noooo - penso'- non le stara' parlando del vomito del gatto!. La vecchina invece capi' al volo e inizio' a spiegare pazientemente la sua tecnica per eliminare il problema. Non si sa come, ma Vania dava ampi cenni di assenso col capo, per avere capito perfettamente la terapia da approntare.

Era la donna piu' felice su questa terra.
"Sai" gli disse " credo che mi sia passata la paura del volo. La tua spiegazione sull'aerodinamica mi ha affascinato. Mi piace questa idea che l'aereo venga  risucchiato dall'alto anziche' spinto dal basso.Mi da piu '...sicurezza. E poi... e' cosi bello stare sopra le nuvole, splende sempre il sole.Si vive in una dimensione strana... quasi una SOSPENSIONE"

inception mombasa

venerdì 5 novembre 2010

La casa nella prateria...

Lei non rispose, scese le scalette dell'aereo e si diresse verso l'aeroporto di Amsterdam. Lui la seguì. Lei si sedette al tavolino di un bar e ordinò una fetta di appletart con aggiunta di panna montata. Lui la guardò stupito, poi si sedette davanti a lei e ordinò soltanto un caffè.
Solo dopo aver assaggiato la torta, lei parlò: "Ho sognato che ero seduta a un tavolino di un bar di Amsterdarm, in una via che costeggiava un canale, al tramonto e mangiavo una torta di mele con qualche ciuffo di panna montata intorno. Tu eri con me e mi stavi raccontando la vita dell'airone cenerino, ma io non ascoltavo, perché ero stranamente affascinata dai ciuffi di panna che non riuscivo ad acchiappare, talmente erano leggeri. A quel punto tu ti sei fermato e hai preso la panna con un dito, poi me l'hai posato sulle labbra, dicendomi che avevi letto da qualche parte che i ciuffi di panna olandesi sono resistenti all'acciaio delle posate. Io ho assaggiato la panna dal tuo dito e immediatamente mi sono ritrovata in un campo di tulipani rossi, circondata da mulini a vento, sola. Ho iniziato a correre tra i tulipani e mi sentivo un po' come Laura Ingalls della Casa nella prateria. Poi mi sono svegliata e ho letto il tuo biglietto e quando mi sono riaddormentata in quel campo c'eri pure tu... e suonavi il violino proprio come il padre di Laura Ingalls. Eri buffissimo! In quel telefilm succedevano le peggio cose... tragedie, malattie, uragani... ma alla fine c'era sempre quel padre riccioluto che suonava il violino con tutta la famiglia e rideva di cuore..."
Lui l'ascoltò senza dire una parola, ma quando si sentì paragonato a uno sfigato di un telefilm sfigato, che tra l'altro aveva sempre odiato, fece un'espressione di disapprovazione e si chiese quale immaginario avesse lei nel pensare a lui. Lei intuì il suo pensiero e aggiunse che adorava quel telefilm, ma soprattutto adorava Charles Ingalls.
Lui le sorrise. Poi avvicinò l'indice della mano destra al suo piatto, raccolse un ciuffo di panna montato con un gesto lento e misurato, la guardò negli occhi per qualche secondo, poi avvicinò il dito alle labbra di lei. Vania socchiuse le labbra e chiuse gli occhi, in attesa di assaporare il gusto dei tulipani. Lui, senza dire nulla, spalmò la panna sul naso di lei, poi si alzò e corse via ridendo. Vania aprì gli occhi e lo rincorse per tutto l'aereoporto minacciando vendetta e imprecando a più non posso.


http://www.youtube.com/watch?v=iDrLp45vlnA

martedì 26 ottobre 2010

22 orizzontale

Si addormento' probabilmente.
Lei era li a pochi centimetri da lui... e stava dormendo serenamente.
E mentre lei dormiva, lui si sentì improvvisamente solo... con se stesso.
Provò anche lui a prender sonno ma purtroppo non ci riusciva, prese allora la sua settimana enigmistica e incomincio' a fare le Cornici Concentriche, il suo cruciverba preferito. Gli serviva spesso quel tipo di passatempo per ripulire la mente, per non pensare a nulla. Si estraniava completamente da qualunque problema lo assillasse. E ce n'erano, in quel momento, di cattivi pensieri in agguato. Stava combinando qualche casino alla sua vita?
Non avrebbe saputo rispondere a quel quesito e fortunatamente una definizione intrigante lo porto' via da  li.
Fini' lo schema in una ventina di minuti e poi si volse verso di lei.
Aveva una espressione stranamente allegra per una che dormiva.Forse stava facendo finta o...forse stava semplicemente ...sognando.
Penso' a tutte le volte che lei gli aveva raccontato i suoi sogni e lui ne aveva goduto perche era come entrare in un livello superiore di conoscenza, in una intimita' riservata a pochi. Lei lo aveva perfino eletto il custode dei suoi sogni, che onore.
E questa volta era li, ad assistere in diretta  a questo evento...lei sognante. Si coglievano piccoli movimenti di sopracciglio, leggeri stiramenti dei suoi splendidi zigomi. E la bocca, le sue labbra che coprivano a stento i suoi denti pronunciati, davano segnali di godimento. Si... non c'erano  dubbi, stava definitivamente sognando. Safran si protese verso di lei  come per cercare di cogliere qualche cosa di piu', un dettaglio... non le era mai stato cosi' vicino.
Sentì il suo profumo.
Poi lo colse un pensiero, si ricordò improvvisamente di una cosa che si erano detti qualche tempo addietro.
E gli venne un'idea.
Cercò un foglietto nella tasca del sedile davanti ma non trovò nulla. Prese allora la settimana enigmistica e scrisse una piccola cosa sul bordo pagina. Ne strappo' via il pezzo e lo appoggio' sulle sue gambe.
Questo piccolo gesto la fece sussultare, si stropiccio' gli occhi e si sveglio' lentamente.
Lei scorse immediatamente il foglietto sulle gambe, lo prese in mano e lesse quello che c'era scritto. 
Poi si giro' verso di lui, i suoi occhi si rimpicciolirono per disegnare un ampio sorriso e torno' a dormire.
Il comandante annucio' l'inizio della discesa e in pochi minuti toccarono terra nella capitale olandese.


"Vania... Vania  sveglia... siamo arrivati ad Amsterdam... dobbiamo sbrigarci".
" Come sbrigarci?" fece lei stirandosi le braccia.
" Si! non abbiamo molto tempo... la coincidenza parte tra un'ora e forse dobbiamo passare un altro check point"
" Ma io non sono mai stata ad Amsterdam... voglio godermela un po'"
"Ci torneremo un'altra volta se ti va, pero' oggi si va di corsa" cerco' di essere convincente.
"Uffa, ma vuoi dire che mi sono presa tutta questa paura solo per stare qui solo un'ora?" disse, ormai contrariata.
"Si... direi di si... se si vuole andare la... bisogna passare da qui... non ci sono voli diretti per il Kenya dall'Italia".
Lei non disse piu' nulla prese la sua gabbietta e si avvio' indispettita verso l'uscita dell'aereo.
"Vania!" la chiamo', ancora intento a raccogliere le sue ultime cose sul sedile.
"Si?" disse girandosi lentamente verso di lui.
" Che cosa hai sognato?"



Eddie Vedder - Society - Into the Wild Soundtrack

Society

Lei non rispose, ma si aggrappò alla sua mano stringendola forte. Lui intravide delle lacrime sul viso di lei. Cercò di asciugarle con il palmo della mano, ma lei glielo impedì. "Lasciale lì dove sono - disse con un filo di voce - mi scaldano e mi fanno sentire viva." Lui tirò indietro la mano e rimase in silenzio. Finalmente la fase di decollo era terminata, la lucina delle cinture di sicurezza si spense e le hostess iniziarono il loro viaggio su e giù per il corridoio a offrire tè e caffè.
Lei lasciò finalmente la mano di lui e smise di fissare il vuoto davanti a sè. Con estrema calma si girò verso il finestrino e osservò il cielo, poi scoppiò a ridere nervosamente. Lui la guardò stupito, ma non disse nulla. "Scusa Safran, ti ho stritolato la mano... non ci posso fare nulla... il decollo mi getta nel panico... forse perché una volta un amico ingegnere mi ha raccontato che c'è un momento di non ritorno nel decollo, durante il quale, se qualcosa va storto, è impossibile correre ai ripari... e da quel momento non sono più riuscita a stare tranquilla."
Lui si chiese chi potesse averle raccontato quella storia, conoscendo la sua paura di volare. Un folle forse.
"Devi sapere - sussurrò lui dopo qualche minuto di silenzio - che in realtà quel momento che il tuo amico ha definito "di non ritorno" non ha il significato che tu gli hai dato. Le persone che muoiono in un incidente aereo in verità non muoiono davvero, ma entrano in una dimensione nuova, a causa della velocità del veicolo. Da quel momento appartengono a un nuovo mondo, a quattro dimensioni. Non so dirti con precisione dove si trovi questo nuovo mondo, ma ti assicuro che esiste. Ho dato un esame all'università che raccontava proprio di questo evento strano, ma scientificamente provato."
Lei lo guardò divertita. "Ma ci possono entrare anche i gatti in questa nuova dimensione? - chiese lei. "No, ecco... i gatti credo si spiattellino a terra come focaccine... mi spiace cara... " - rispose lui grattandosi la barba.
Lei gli fece una pernacchia, poi si rimise ad osservare il cielo sotto di lei, infilando nelle orecchie il suo I pod, desiderosa di isolarsi per un po' di tempo senza pensare a nulla. Chiuse gli occhi e tra le note di Eddie Vedder si addormentò.

lunedì 25 ottobre 2010

compagni di viaggio

L’assistente al banco dei check-in li accolse con un ampio sorriso.
Poi chiese: “viaggiate insieme?”
La domanda, seppur innocente, li mise un po’ in imbarazzo. Si guardarono negli occhi come per cercare un supporto reciproco. Era la prima volta che qualcuno li considerava come una … coppia… era una sensazione nuova a cui non erano abituati e che forse neanche stavano cercando. Lui prese a parlare: “ si… in un certo senso”.
“Ok, vedo che proseguite poi verso il Kenya, se avete bagagli da spedire ve li faccio arrivare fino a destinazione” . “ Si ne abbiamo…”continuo’ lui “e… abbiamo anche questo” e mostro’ la gabbia con il micino.
“Um, avreste dovuto dichiararlo con 48 ore di anticipo”.
“ Si, lo so, ma vede… e’ che abbiamo prenotato solo ieri… e quindi era praticamente impossibile”. “Miaooo” fece Bartolomeo come per confermare.
L’assistente guardo’ tra le fessure della gabbia e vide due occhietti di ghiaccio che la fissavano speranzosi.
“ Va bene, noi possiamo chiudere un occhio ma vi avviso che le autorita’ keniote credo vogliano avere dei documenti che attestino la assoluta buona salute dell’animale, altrimenti lo respingeranno in frontiera”
Questo lo prese in contropiede, si volto’ verso di lei per cercare conforto. Stava gia’ per arrendersi quando vide il suo volto aprirsi in un sorriso.
Infilo’ la mano nell’inseparabile e ne estrasse un foglio. “Ecco qua. Un certificato di buona salute firmato da un veterinario autorizzato!”
Lui la guardo’ stupito.
L’assistente annui e prosegui’ con le altre procedure fino al rilascio delle carte di imbarco.
“ Ma come hai fatto?”
“ Eh. Tu non mi conosci ancora, caro. Sono la donna dalle mille risorse!”.
Dopo meno di mezzora prendevano posto sul velivolo. Lei prese posto accanto al finestrino, la gabbia in mezzo e lui lungo il corridoio.
Lei era visibilmente preoccupata. Inizio’ a parlare velocemente, dicendo cose anche senza senso, pur di evitare di pensare al viaggio.
Lui invece era piu’ tranquillo mentre Bartolo dormiva rumorosamente.
“Vania… stai tranquilla… andra’ tutto bene”
“ Si… lo so… ma e’ piu’ forte di me”
“ Sai come fa a volare un aereo?”
“ No, cioe’ si… vagamente…”.
E lui inizio’ una piccola lezione di aerodinamica, proprio come faceva con i suoi figli.
Era strano per lui insegnare qualcosa ad una maestra. Si sentiva a disagio.
Pero’ lei ascoltava con attenzione. E  sembrava un po’ piu rilassata fino a quando i motori non iniziarono a rombare e l’accelerazione li schiaccio’ contro lo schienale.
Allora lui allungo’ un braccio e le strinse  la mano. Lei chiuse gli occhi.
“Adesso li puoi riaprire… il pericolo e’ passato.”
compagni di viaggio (francesco de gregori)

risposte

Lei lo guardò fisso negli occhi per qualche secondo, come a dirgli che non erano affari suoi. Lui capì l'antifona e si diresse in silenzio verso il check-in. In realtà lei era stata onesta con il suo ragazzo. Solo lui sapeva di questo viaggio e non le aveva impedito di partire. Semplicemente l'aveva lasciata libera di scegliere, senza porre condizioni e senza snocciolare noiosi ricatti morali. Ma lei sapeva cosa si nascondeva nel cuore di quell'uomo che tanto la amava. Dolore. Delusione. Paura. Eppure, anche questa volta, aveva riposto nel loro rapporto una fiducia smisurata, non impedendole di vivere occasioni o esperienze nuove, considerandole un mezzo per rafforzare il loro amore, se mai fosse resistito.
Lei si era sentita terribilmente in colpa, ma il suo spirito libero era più forte di tutto, anche di quell'amore così grande che le aveva permesso di sentirsi di nuovo donna. Lei doveva partire, per non avere rimorsi e per non arrivare un giorno a provare rancore verso il suo uomo.
Si sentiva egoista e forse in questo momento lo era davvero. Tutti questi pensieri che le attraversavano la mente l'avevano resa taciturna e triste e lui si sentì dispiaciuto per aver fatto quella maledetta domanda. In fondo lei non aveva chiesto nulla a lui. Ciò che contava ora era essere insieme e godersi il viaggio dimenticando per qualche giorno ogni pensiero o tristezza.
Quando mancavano soltanto due persone al check-in lui le prese il viso tra le mani, la fissò negli occhi e disse imbarazzato: "Sei ancora in tempo ad andartene, lo capirei. Ma credo che Bartolo potrebbe rimanerci male. Ormai non sta più nel pelo all'idea di vedere i leoni. Lo deluderesti molto."
Lei lo fissò con uno sguardo torvo, quasi violento. Lui si sentì ferito. Poi lei scoppiò a ridere come una bambina e lui le diede uno spintone, facendola urtare contro un bellissimo signore di colore che stava in fila dietro di lei e lei sentì un dolcissimo profumo di ambra. Chiese scusa all'uomo, poi si avvicinò all'orecchio del suo amico ingegnere e sussurrò:
"Adoro gli uomini profumati... e dalla pelle ambrata."
Lui la guardò di traverso. "Non avevo dubbi - boffonchiò sorridendo."

domenica 24 ottobre 2010

domande

La vide finalmente arrivare. Non disse nulla.
Le andò incontro e la abbraccio forte. Era come una liberazione, come riprendere finalmente fiato dopo quella mattinata di apnea.
Le sussurrò solo una parola all’orecchio: “grazie” … e si accorse che stava quasi tremando. Si riprese immediatamente e la guardò adesso, veramente, per la prima volta.
“E quello cos’e’?”
“ Uh, vedo che il tuo cervello di giovane ingegnere creativo entra in stand-by il sabato mattina. Vuoi una risposta multipla o preferisci avventurarti a provare qualche ipotesi plausibile  tra le mille possibili?
Il modo in cui aveva pronunciato le parole “giovane” e “ ingegnere” lo fecero irrigidire un poco.
“ Spiritosa! Ho capito cos’e’… intendevo dire… dobbiamo proprio portarcelo dietro il gatto? Insomma… non avevo preso in considerazione  anche questa… compagnia…”
“ Certo che dobbiamo! Io senza di lui non mi muovo. E’ come se fosse la mia famiglia… e non chiamarlo “gatto” con quel tono.”
Ecco, adesso tirava in ballo la famiglia… quella parola entrò come una spina nel suo cervello. Avrebbe  voluto dire che lui una famiglia l’aveva lasciata a casa veramente, e che stava giocandosi molto con quel viaggio ma poi si tenne per se quel pensiero.
“ Va bene, ma il trasporto di animali in Kenia potrebbe presentare dei problemi, sai e’ un ecosistema delicato, non conosco  di preciso le procedure, non vorrei che si dovesse dichiararlo in anticipo. Non potevi lasciarlo a casa, alla tua amica? O magari la chiamiamo  adesso e le diciamo di venire a prenderselo?”
“ Ma sei pazzo? Non se ne parla proprio, e poi non le ho detto che venivo in viaggio con te.”
Lui si chinò sulla gabbietta, Bartolo iniziava a farsi sentire. La aprì e prese in braccio l’animaletto che si aggrappò con i piccoli artigli al suo maglione e cominciò a leccargli la barba.
“ Eeevabene, ti portiamo… ti portiamo… basta con queste smancerie… mannaggia a te.”
A lei tornò finalmente il sorriso e lo baciòdi slancio sulla guancia.
“ Ok andiamo al check-in e vediamo cosa ci dicono. Hai portato il passaporto?”
“ Certo, ho tutto qui dentro” e indicò la sua ampia borsa,l’inseparabile.
“ Hai paura per il viaggio?”
“ Un po’… ma ormai sono convinta, non si può più tornare indietro”.
Lui prese le due valigie e si indirizzò verso i banchi.
“ Caspita, la tua valigia e’ il doppio della mia, ma che ci hai messo dentro?”
“ Certo che oggi sei proprio uno spaccapalle eh?”
“Ok..Ok.. non dico più niente, sarà che sono un po’ agitato… anzi no…un’ultima cosa te la voglio chiedere… a Lui che cosa hai detto?”

all'aeroporto

Dopo averlo visto salire sul taxi e allontanarsi da casa, lei si infilò sulla sua Matiz rosso fuoco, girò la chiave e partì dirigendosi verso Malpensa. La valigia era adagiata sui sedili posteriori: era troppo grande per starci nel bagagliaio. Accanto a lei, al posto del passeggero, c'era Bartolomeo.
Lei ripensò a quando aveva paura di volare. In verità la paura c'era ancora, ma molto più controllata. Per lo meno non capitava più che rinunciasse a un viaggio pur di non prendere un aereo. Qua però non si trattava di un'ora di volo, bensì di quasi 12 ore. "Ce la farò? - pensò preoccupata mentre imbocca la supestrada - e se mi viene il panico che faccio?"
Cercò di scacciare i brutti pensieri alzando il volume della radio e per trovare ancora più coraggio infilò un cd di Carmen Consoli e si mise a cantare a squarciagola. Il cuore rallentò la sua corsa e la paura si placò. Ora poteva ricominciare a immaginare le bellezze del viaggio che l'attendevano.
Non aveva raccontato a nessuno di questo viaggio, neanche alla sua migliore amica. Aveva semplicemente detto che avrebbe trascorso la settimana seguente a casa di Valentina, l'amica di Firenze, la quale aveva bisogno di una mano con la bimba appena nata.
Nient'altro che una bugia bianca, come era solita chiamare lei le bugie senza cattiveria.
Non voleva essere fermata nè giudicata. Voleva solo partire con quell'uomo misterioso, che la conosceva senza averla mai frequentata e poi chiudere definitivamente ogni contatto con lui. Le vite di entrambi erano troppe lontane l'uno dall'altra e sia lui che lei avevano la consapevolezza che prima o poi tutto sarebbe finito. Sarebbe stato un bel finale, tra i colori dell'Africa.
Lei parcheggiò l'auto nel parcheggio dell'aeroporto; con la gabbietta nella mano destra e la valigia nella mano sinistra si trascinò fino alle partenze internazionali. Cercò i terminali della KLM: lui era già lì.
Stava sfogliando una rivista, appoggiato a una colonna, la minuscola valigia accanto a lui. Lei sorrise. Si avvicinò. Lui alzò lo sguardo.



ticket to Africa

Fino a quando non l’avrebbe vista, li davanti a lui, in carne e ossa non si sarebbe potuto rilassare. Certo, stava guidando,  ma non era completamente cosciente. Aveva preso un po’ troppi rischi questa volta. A questa sensazione di irreversibilità delle scelte non era abituato. Nella sua vita aveva sempre cercato di tenere aperto uno spiraglio, una via di uscita. Questa volta si era invece tuffato nel buio. Non si sa cosa gli avesse preso. Si era completamente fidato di lei. Praticamente una sconosciuta. Aveva per una volta lasciato da parte il suo modo di procedere per passi razionali, e aveva seguito solo il suo istinto. Come un animale. Forse inconsciamente era per quello che aveva scelto l’Africa. La terra dove tutto sembra nascere ed evolvere secondo regole ancestrali. Regole dimenticate da questa parte del mondo. Un ritorno alle origini dell’uomo, una terra madre a cui tornare per ritrovare se stessi e le cose veramente importanti, per cui valga la pena vivere. Voleva gettare dietro di se i computer, i telefonini, le riunioni di lavoro, la palestra. Ritrovare un rapporto piu vero con se stesso e con… lei. Non sapeva neanche definire cosa ci fosse tra loro. Forse perché non si poteva definire. Perche il loro rapporto era fatto di aria, di emozioni, di magnetismo, di stimoli culturali e artistici. Si erano conosciuti piano piano, giorno dopo giorno,  distillando quello che la vita offriva loro di meglio o di peggio. Cercando di conoscere attraverso la parola scritta quello che si nascondeva nel loro io piu profondo. E questo forse li aveva aiutati a creare un rapporto paradossalmente piu vero, di come non avrebbero potuto fare semplicemente frequentandosi come due classici…amanti.
Questo viaggio in fondo era come il loro rapporto. Non c’erano aspettative. Non avevano programmato nulla. Lui non aveva neanche voluto attendere una sua risposta al suo invito. Era… naturale. Si faceva pperché era venuto il momento di farlo. Tutto li.
Un viaggio per capire qualche cosa di piu’ma anche semplicemente perché era bello farlo.

I biglietti li aveva nella tasca. Stampati di fresco in ufficio il giorno prima.
Non c’era molto traffico il sabato mattina e arrivo’ all’aeroporto con un certo anticipo.  Meglio cosi’. Avrebbe avuto il tempo per comprare le ultime cose.
Qualche libro, la settimana enigmistica, le pillole per la profilassi antimalarica e se mai l’avesse trovata … una guida del Kenya.

Bartolomeo

Lei lo vede uscire di casa, con quella valigia così piccola, troppo piccola. Gli uomini fanno sempre valigie ristrette, perché c'è sempre una donna che porta "tutto il resto".
Questa volta, però, potrebbe essere diverso. Questa volta lui sta rischiando davvero. Rischiando di arrivare a destinazione con una valigia troppo piccola anche solo per se stesso.
Si chiude il portone alle spalle, frettoloso, come fosse scampato a un pericolo. E' spettinato, la camicia un poco fuori dai pantaloni e la giacca aperta, nonostante il freddo gelido di quell'inverno cittadino. "E' buffo", pensa lei.
Non credeva che avrebbe mai trovato il coraggio di farlo, e invece... eccola là, in attesa probabilmente di un taxi che lo porti in aereoporto.
Lei ripensa con stizza all'ultima mail che lui le ha scritto.

"Domani parto. Da solo. Destinazione Mombasa. Una settimana lontano da tutto. Ho prenotato due biglietti per il volo di domani mattina.
Ti aspetto all'aereoporto alle ore 9.30. Non darmi conferma. Tanto so che verrai."

Troppo sicuro di sè, aveva pensato lei. In verità questa sua improvvisa decisione l'aveva colta di sorpresa, poiché per tutto il tempo che si erano scritti era sempre stata lei ad osare, nella certezza di trovare davanti un uomo sempre posato ed equlibrato, che sapeva scansare con classe le sue provacazioni. Ora, invece, lui pareva fare sul serio e lei si sentiva in difficoltà.
"Non fa sul serio" aveva poi concluso, spegnendo il pc, e sdraiandosi sul letto ad accarezzare il suo micino Misha.
"Mombasa - disse lei rivolta a Bartolomeo- non so neanche in quale Paese si trovi! Non sarà mica in India? Ma mi ci vedi a fare il bagno nel Gange? Come minimo passo tutta la settimana con il mal di pancia!"
Con fatica si alzò e si diresse verso la libreria, dove un Atlante carico di polvere veleggiava tra gli altri libri. Lo prese, con una mano tolse la polvere, poi iniziò a sfogliarlo. Arrivò alla pagina dell'India. Nessuna Mombasa nei paraggi. C'era Bombay, che, se non ricordava male, ora si chiamava Mumbai, ma l'Atlante risaliva al 1980. "Forse Mombasa è stata fondata dopo il 1980". Un lampo di genio le permise di consultare l'indice. "Eccola! Pagina 35, A-5."
Non seppe per quale motivo, ma il cuore prese a battere un poco più velocemente, come se alla pagina 35 ci fosse un pezzo del suo futuro.
"Eccola! Mombasa! Kenia! Che bello il Kenia!!! Ci saranno i leoni, le tigri, le scimmie, le giraffe! C'è anche il mare!"
Lei aprì l'armadio e iniziò a lanciare sul letto vestiti estivi e colorati, gonnelloni lunghi che non aveva mai avuto il coraggio di mettere, perché dai colori troppo sgargianti. Un foulard rosso finì addosso a Bartolomeo che non fece una piega, ma si limitò a guardare la sua padrona con aria interrogativa. "Amore mio! Preparati! Fra qualche giorno conoscerai il tuo papone! Il Re della foresta!!!"

Mombasa Sambosa

Come un robot. I miei movimenti rispondevano a ordini programmati. Non c'erano pensieri in quel momento. Non c'era un prima e un dopo. Quasi una condizione Zen di assenza dalle cose terrene per superare il primo piu grande ostacolo.
La Valigia, quella piccola dei viaggi brevi, i vestiti, quelli leggeri, un paio di scarpe... lo spazzolino.
Nel retrobottega della mente girava ancora il ritornello che mi  incoraggiava da giorni: " che poi non parti davvero, finche' semini i sassi sul sentiero, che ti porta via, da te".  Questa volta non voleva lasciare sassi. Partire davvero.
Come un richiamo naturale dentro di me, mi  faceva capire che era giunto il momento e non si poteva piu rimandare. 
In pochi minuti era tutto pronto, avevo eseguito perfettamente gli ordini del programma. Adesso veniva forse il momento piu difficile. Uscire.
Discesi delle scale con attenzione, non volevo correre, la calma e' essenziale in quei momenti. Ecco la porta, si avvicina come in un piano sequenza a zoommare.
Ad ogni passo era come se il resto della casa si sgretolasse dietro di me. Mi venne in mente una immagine classica dei giochi elettronici, in cui  il cavaliere che sta scappando dal drago, sale su un ponte che crolla dopo ogni suo passo. Quando sei sul ponte non puoi piu tornare indietro. Solo guardare avanti e fare il piu fretta possibile, ma con delicatezza.
Ogni ripensamento o incertezza in quel momento sarebbero stati fatali. 
Un passo ancora... avevo ormai la maniglia della porta saldamente nella mano, lo  scatto della serratura, un rumore atroce che mi entro' dentro...  il drago era ormai molto vicino, stava per tentare il suo attacco finale. La porta si apri, un'ondata di luce e freddo raggelante improvvisi mi fecero esitare per un secondo, chiusi gli occhi per ripararmi e mi tuffai in avanti. Quando li riaprii  ero ancora scosso e traballante ma ero fuori e la porta era chiusa dietro di me. 
Sentivo il drago dall'altra parte molto vicino ma non poteva fare piu niente ormai. 
Iniziava il viaggio. Mombasa sambosa.
Partire Davvero (Perturbazione- Del nostro tempo rubato)