venerdì 4 novembre 2011

bisdrucciola


Vania, sorridendo, si diresse verso una capanna non molto lontana da lì senza dire nulla a Safran, aprì la porta e si infilò dentro. Ne uscì qualche istante dopo a cavallo di una motoretta scoppiettante, color pistacchio, e sul capo un vecchio casco imbrattato di vernice arancione.
"Su su, forza Don Chisciotte, il nostro ronzino è ancora freddo, dobbiamo scaldarlo" - urlò Vania cercando di farsi sentire, nonostante il fragore assordante del "ronzino".
Safran non credette ai suoi occhi. Questa donna non finiva mai di stupirlo. In corsa salì in sella a Ronzinante e per tutto il viaggio sentì lo stomaco sobbalzargli in corpo, ma nonostante la nausea, il rumore, il fango che si alzava, si sentiva in paradiso, anche se... forse avrebbe dovuto essere lui alla guida... ma tant'è... si strinse forte ai fianchi morbidi di Vania e si lasciò condurre senza più pensieri, ripetendo tra sè e sè un passo del don Chisciotte:
"Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a sé stesso »
Dopo molto peregrinare, arrivarono finalmente in città, nella famosa via dei mercati, Biashara Street. Vania si tolse il casco e i suoi capelli erano buffi e spettinati, ma il viso era arrossato e svelava l'emozione del viaggio appena fatto. Anche Safran si sentiva particolarmente eccitato, la corsa in motocicletta era stata un'esperienza decisamente nuova per lui.
Safran si avvicinò a una bancarella che vendeva quaderni fatti a mano, in pelle o in tessuto e matite dalle forme più strane. Prese un quaderno con una copertina rossa, ricoperta da foglie di acacia: aveva un profumo buonissimo. Poi comprò una matita fatta con il legno di un baobab, o almeno fu quello che gli disse il vecchio venditore dalla barba lunga e grigia quando si prese ben 300 scellini, mostrando un sorriso sdentato.
Con il suo bottino prese Vania per un braccio, le infilò il casco, poi si diresse al ronzino parcheggiato poco più in là, con un calcio deciso mise in moto, si voltà verso di lei e disse: "Vieni mia dolce Dulcinea, ora ti porto al mio castello." Vania si lasciò trascinare senza opporre resistenza e questa volta fu lei ad aggrapparsi ai fianchi di lui, lasciando respirare i pensieri mentre si allontanavano dal caos del mercato per raggiungere un luogo misterioso.
Quando Vania riaprì gli occhi si trovò di fronte uno spettacolo meraviglioso. Non poteva crederci: quello era davvero un castello. Scese da Ronzinante, si tolse il casco e si avvicinò a quelle mura maestoste.
"Si chiama Forte Jesus, è stato costruito in epoca rinascimentale e..." disse Safran, ma non fece in tempo a finire la frase, che lei lo trascinò sopra le mura. "E smettila di fare il maestrino, ti ricordo che qua l'insegnante sono io, ma in questo viaggio tu sei Don Chisciotte e io Dulcinea, quindi sfodera la tua spada e corri a cercare i nemici del forte!"
Safran non se lo fece ripetere due volte, raccolse un ramo e iniziò a fendere la sua spada a destra e sinistra, correndo come un bambino su per le scale, mente Vania imitava il passo di una dama compita ed elegante, che cammina lentamente alzando leggeremente l'ampia gonna del vestito. Arrivati in cima al castello entrambi rimaseri a bocca aperta: davanti a loro l'immensità dell'oceano toglieva il fiato. Safran fece cadere a terra la spada, Vania smise di fare moine da donna di altri tempi ed entrambi si sporsero dalle mura per respirare tutta quella bellezza. Le loro mani si unirono. Rimasero così, in contemplazione di quella bellezza per molto tempo, poi un rumore li distrasse. Era lo stomaco di Vania. "Ehm... mio prode cavaliere... la sua dolce donzella avrebbe un leggero appetito, non è che..."
"Uff, sempre a rovinare tutto, e io che stavo per sfoderare uno dei miei romanticissimi baci da cavaliere errante" disse Safran imbronciato, ma quando vide l'imbarazzo di Vania la prese per la vita, la fece girare come una piroetta e poi correndo si precipitarono giù dal castello, ripresere Ronzinante e si diressero verso una bottega che avevano visto sulla strada. Mangiarono una focaccia buonissima, poi si diressero al porto e infine, quando il sole stava già per tramontare, tornarono alla capanna di Minha. Cenarono con della frutta davanti al mare, poi accesero un fuoco sulla spiaggia. Safran, davanti al calore del fuoco, aprì il suo zaino e tirò fuori il quaderno che aveva comprato al mercato, prese la matita e iniziò a scrivere. Vania non fece domande. Si diresse verso il mare, si spogliò e si fece benedire da quell'acqua così accogliente. Restò immersa per molto tempo e si lasciò andare ai pensieri più strani... ripensò alla sua infanzia, alle felicità mancate e alla paura che per troppo tempo aveva limitato la sua vita. Pensò alla bellezza che solo nella parola scritta riusciva a trovare, al suo sogno di diventare un giorno una scrittrice. Pensò al suono delle parole. Ce n'erano alcune così buffe... da piccola ripeteva spesso con il suo fratellino la parola COTONE... aveva un suono dolce, appena sussurrato, ma allo stesso tempo ironico... pensò ad un'altra parola che da sempre la faceva sorridere... poi uscì dall'acqua, completamente nuda si avvicinò a Safran che era ancora intento a scrivere. Safran sentì la voce di Vania che diceva: "Bisducciole... trovami dieci parole bisdrucciole e questa notte sarà perfetta.... "
Safran guardava Vania senza respirare. I capelli gocciolavano e l'acqua scorreva sui quei seni così belli, disegnati dalla luna. Non riusciva a vedere i suoi occhi, ma era come se conoscesse esattamente la loro espressione: furbi, guizzanti, ma anche infinitamente dolci.
Restando seduto davanti a lei, non distogliendo mai lo sguardo da quel corpo meraviglioso, sussurrò:
"
lasciatemeli.... parlamene.... scrivimelo.... abitano.... edificano.... dondolano.... aspettandosela...
portandogliele.... dimenticandosene... e...e...e....e.... "


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